Lo chef racconta l’evoluzione della cucina di mare.
Da oltre 30 anni uno dei maggiori esperti di gastronomia di pesce, Lele Usai, patron de Il Tino di Fiumicino, dice la sua sul cambiamento del Mar Tirreno, come conduce i suoi ristoranti di conseguenza, e quello che possono fare i cuochi per stimolare un approccio diverso e più consapevole alla cucina di mare.
Nato a Ostia Lido nel ’77, Daniele (Lele) Usai ha studiato ragioneria per poi cedere al richiamo del litorale. Muove i primi passi in ristoranti intorno a casa, poi il necessario passaggio all’estero, a Londra con chef Antonio Carluccio. Rientrato in Italia lavora a La Terrazza dell’hotel Eden e poi su a L’Albereta di Erbusco, nella cucina di Gualtiero Marchesi. Per perseguire il suo progetto personale sceglie invece proprio Ostia, dove inaugura nel 2006 in un localino da non troppi coperti il primo corso de Il Tino.
All’anniversario del decennale il locale, già forte di una stella Michelin, si sposta a Fiumicino, dove tuttora si trova, con una sala con vista sul porticciolo del Nautilus Marina. Con il trasloco, si è aggiunto al piano terra uno spin-off più ampio e informale, il QuarantunoDodici. Il paniere è però pressoché lo stesso, e il punto di partenza è sempre il pesce del Mar Tirreno da pescherecci e asta locali.

Usai, che fa questo mestiere da 32 anni, ha un rapporto quotidiano con i pescatori di Fiumicino, fatto di confronti con i ‘grandi vecchi’ e di visite assidue in asta. Decenni, quindi, di esperienza sulla materia prima e ascolto di chi quel litorale lo batte da ancor più tempo.
Quello che dal suo osservatorio è evidente non è tanto un calo di pescosità, quanto una variazione, appunto, nelle specie. Da un lato le acque che via via si scaldano, diventando un habitat adatto alle varietà non autoctone, e dall’altro una richiesta sempre più concentrata su quelle mainstream, che, in quel caso sì, soffrono di sovrasfruttamento.


“Tutti al ristorante vogliono capesante e polpo rosticciato, solo per dirne un paio”, puntualizza lo chef de Il Tino, “ma assecondando la richiesta si erodono certe filiere e si alzano i prezzi”. Più strategico, e da molti punti di vista, usare buona tecnica per valorizzare altre specie, che possono risultare ugualmente (se non più) interessanti e infine davvero sostenibili. “Da anni invece del polpo verace cucino la polpessa, della stessa razza ma di diversa specie”, con tentacoli finissimi, meno adatta alla classica ‘rosticciata’ e complessa da lavorare, ma ideale per il ragù di mare. Sul polpo poi bisognerebbe esser ancora più attenti, “perché si tratta di uno dei predatori naturali del granchio blu. Limitarne la pesca sarebbe strategico, ma certe abitudini sono difficili da eradicare”.
Ciò che un cuoco di mare ha in potere di fare, dunque, è disincentivare l’overfishing e conoscere il ritmo stagionale del mare.
Il metodo di Usai, per tenersi spazio di manovra con le disponibilità dettate dal mare e non dalle preferenze di consumo, “è non specificare sul menu il tipo di pesce alla base delle preparazioni”, racconta Usai, “ci limitiamo a raccontare la ricetta — magari la bouillabaisse o la cottura in argilla — e poi lavoriamo con le consegne del giorno. Secondo me è questo il valore della cucina, che dovrebbe evitare piatti omologati e standardizzati”.
CONTATTI
Ristorante Il Tino
Via Monte Cadria, 127 Fiumicino
065622778
Bistrot Quarantunododici
Via Monte Cadria, 127 Fiumicino
066581179
Di Carlotta Bernardini
Comments are closed.